martedì 2 novembre 2021
G 20 a Roma? Draghi come il Re Sole... by Corriere Puglia Lucania
venerdì 29 ottobre 2021
Stefano Vaj: intervista per "I Sentieri della Tecnica. SPIRITO FAUSTIANO, TRANSUMANISMO, FUTURISMO" (2021)
D- Vaj, un tuo nuovo libro sulla Tecnica e/o tecnologia da sguardi futuristi e transumanisti, quasi un download inedito... della tua ricerca pluridecennale?
Proprio così. Nel corso della mia vita ho scritto di vari argomenti, per esempio di filosofia del diritto, di movimento delle idee, di identità, di politica internazionale, etc. Ma il filo conduttore - ora più evidente, ora in forma più carsica - della mia riflessione ha sempre riguardato la questione di cosa davvero siamo e cosa vogliamo diventare, di un divenire accettato e auspicato come tale, e delle tecniche che possono consentirci di mirare a grandi obbiettivi collettivi inerenti al fatto di cambiare noi stessi e il mondo nelle direzioni preferite.
Tra queste tecniche naturalmente la tecnologia in senso stretto, almeno dalla rivoluzione neolitica in poi, occupa il primo posto. E lo occupa doppiamente per quella cultura europea, "faustiana" la chiama non a caso Spengler, con cui mi identifico e la cui connotazione in questo senso non risale del resto alla fine del medioevo ma è ben più radicata, come illustra La rivoluzione dimenticata di Lucio Russo. Vengono perciò in conto un mucchio di sviluppi, o magari mancati sviluppi, in termini strettamente tecnoscientifici, e mi sono occupato anche di questi, per esempio in Biopolitica. Il nuovo paradigma (oggi interamente online a http://www.biopolitica.it); ma non è cambiato nulla dall'epoca di Marinetti su ciò che possiamo e dobbiamo pensarne, a seconda di alcune opzioni ideologiche fondamentali che riguardano la nostra visione del mondo, dell'uomo e della storia.
Così, mi sorprendo quasi io stesso di quanto diventino sempre più attuali conclusioni che al riguardo mi sono trovato talora a tirare già dieci o vent'anni fa o più, del resto sull'onda di una prospettiva postumanista le cui radici sono ormai più che secolari. E il risultato complessivo che è quanto il mio nuovo libro spero contribuisca a disegnare è un quadro in cui tali conclusioni si sono fatte via via più cogenti, anche in rapporto ad un'evoluzione del dibattito generale in cui alcune scelte ideologiche sempre più si chiariscono, si raffinano, e si fanno più radicali. Cosa che è avvenuta e sta avvenendo sia dal lato futurista, transumanista, prometeico, etc., che dal lato neoluddita, primitivista, decrescentista, epimeteico. Non si tratta qui infatti di convertire qualcuno, ma di evidenziare le implicazioni profonde delle rispettive prese di posizione, al di là di occasionali convergenze su questioni di fatto, che restano indubbiamente possibili anche per chi aderisca a prospettive diametralmente opposte e che nulla impedisce di sfruttare. Ma possibilmente senza attenuare la consapevolezza del relativo spartiacque, e la propria mobilitazione, se non altro intellettuale, in quella che è ragionevole definire una "guerra culturale" decisiva per il futuro della nostra specie e delle nostre rispettive comunità di appartenenza. Indipendentemente dal fatto che di volta in volta il mio libro prenda in esame la questione dal lato delle tecnologie reprogenetiche o della esplorazione spaziale, della intelligenza artificiale o della crionica, della difesa e sviluppo della biodiversità o della politica industriale.
D- La prefazione è del celebre cosmista e futurista Giulio Prisco....
Giulio Prisco, amico e cofondatore con Riccardo Campa e con me dell'Associazione Italiana Transumanisti, di cui è oggi presidente, è un'icona nel mondo del transumanismo internazionale, in cui ha per decenni animato innumerevoli iniziative, correnti, gruppi di interesse monotematici e settoriali, etc., e cui ha contribuito immensamente soprattutto dal lato dell'informazione e della condivisione. Il vivo interesse che la sua affettuosa prefazione mi dimostra una volta di più è per me motivo di orgoglio e soddisfazione, anche perché sancisce una volta di più la convergenza e al tempo stesso ricchezza di un mondo che si compone di mille rivoli e contributi diversificati non solo per provenienza ideologica ma formazione personale. Giuridica, filosofica e polemica la mia, laddove Giulio, ex manager dell'Agenzia Spaziale Europea, è un ingegnere, un tecnologo e un informatico, non senza un pendant "misticheggiante" che nel nostro secolo spesso caratterizza paradossalmente molti intellettuali con una educazione STEM. Ancora, con un approccio che parte dal transumanismo "wet" per ciò che mi concerne, e che invece trova in lui ad esempio un eloquente, documentatissimo ed accorato avvocato dello sviluppo dei programmi spaziali, come dimostra il suo recente, prezioso testo in materia di Futurist Spaceflight Meditations. Per cui, una volta di più, anche I sentieri della tecnica è un libro virtualmente dedicato non solo a chi magari ha i miei stessi gusti ed interessi di partenza e vuole conoscerne l'applicazione agli argomenti trattati nel libro, ma anche a Giulio Prisco e a tutti gli amici e compagni di strada del movimento futurista e transumanista italiano e internazionale, da Stefan Sorgner a Max More, al cui dibattito interno mira a fornire un contributo originale e fortemente caratterizzato.
D- Postvirus, la ricerca transumanista è più difficile? Lo stato delle cose attualmente, su questa utopia futuribile e come vedi il suo divenire a breve termine?
Sicuramente la pandemia di Covid19, in correlazione anche con ipotesi più o meno complottiste su una sua possibile origine artificiale, dolosa o colposa che sia, ha contribuito alla ulteriore diffusione planetaria delle paranoie in materia di biotecnologia e dell'ossessione per il cosiddetto Principio di Precauzione. Cosa paradossale, perché se c'è una una cosa la pandemia ha dimostrato è la fragilità complessiva della nostra società anche rispetto a minacce con un basso o bassissimo indice di pericolosità, e la lentezza con cui la scienza e l'industria biomediche e farmacologiche sono oggi in grado di reagire. Ciò parte per i ritardi culturali e gli investimenti insufficienti nel campo della ricerca fondamentale, parte appunto per l'eccessiva ossessione per la sicurezza che contribuisce ulteriormente a rallentarne la risposta, specie dove più strette sono le maglie della regolamentazione occidentale. In questo è interessante notare come il problema sia apparso almeno marginalmente meno pronunciato, e le prime risposte siano state date, là dove, come nella Federazione Russa o a Cuba, il "decisionismo" locale abbia comunque in parte supplito alla delusione nelle aspettative messianiche in una immediata risposta del mercato - un tipo di mercato d'altronde che anche in questa occasione si è nutrito di monopoli garantiti, di connivenze pubbliche, di interessi politici…
Anche qui, d'altronde, la nostra capacità di limitare i danni di sviluppi indesiderati ed indesiderabili, non importa se antropici o "naturali", inevitabilmente dipende da un "di più" di conoscenza e capacità tecnica, non da una loro limitazione che tende al contrario a lasciarci potenzialmente inermi. Un laboratorio di ricerca sui virus indubbiamente gestisce un'attività molto pericolosa, ma le identiche conoscenze che possono essere messe a frutto per programmi di guerra batteriologica sono le stesse che sole possono consentirci una migliore difesa non solo da attacchi deliberati di questo tipo, ma altresì da incidenti foss'anche del tutto indipendenti da qualsiasi volontà o responsabilità umana che il mondo contemporaneo, - per esempio con l'intensità globale, prima ancora che globalista, dei viaggi e degli scambi - certo amplifica ed accelera a dismisura. Cosa che chiama ad un principio opposto che Max More o Steve Fuller chiamano, come nell'omonimo libro del secondo, The Proactionary Imperative.
Infine, per quanto da un punto di vista transumanista la virtualizzazione - che può consistere anche in un simulacro consolatorio di ciò non sappiamo ancora, o non vogliamo, più fare - sia un fenomeno ambiguo, di sicuro il mondo della pandemia ha accelerato processi di trasformazione nelle comunicazioni, nell'economia, e nella formazione, generalizzando ancor di più la pervasività delle tecnologie ICT, in ambito aziendale come privato, e contribuendo a rimettere in discussione modelli produttivi od educativi che appaiono oggi dipendere da un'inerzia socioculturale che da una perdurante funzionalità.qqIl che si combina in modi imprevedibili con il trend trasversale ad una crescente automazione il cui impatto sociale è ben analizzato da Riccardo Campa in La società degli automi.
Non che le enormi risorse distrutte o dirottate a seguito della pandemia, specie in zone ed economie già vulnerabili o declinanti come l'Italia, favoriscano però né a livello di singola organizzazione né a livello di sistema gli investimenti a lungo termine ed alto rischio normalmente richiesti per l'avverarsi di breakthrough tecnoscientifici o la realizzazione di grandi progetti infrastrutturali… Rispetto all'aggravarsi di questo problema il mio ultimo libro abbozza una riflessione proprio su come rispetto a difficoltà economiche e politiche strutturali che il presentarsi di "cigni neri" fa esplodere in tutta la loro evidenza l'unica possibile soluzione sia di tipo culturale, nel senso antropologico e profondo del termine, che a sua volta può essere preparata solo da un'azione "culturale", nel senso invece metapolitico, artistico, divulgativo, mitopoietico della parola, quale quella esemplarmente promossa dal Futurismo storico italiano con messaggi che conservano intera la loro vitalità.
D- L'ecologismo non scientifico sembra oggi dominante, una ennesima resistenza al futuro desiderante possibile?
Del tutto indipendentemente dalla fondatezza o meno delle preoccupazioni soggiacenti, la narrativa ecologista attuale resta largamente strumentale all'accettazione popolare più o meno rassegnata di una essenziale stagnazione tecnoeconomica, di ideali decrescentisti, e specie in Italia di un oggettivo impoverimento della popolazione, aggravato dal declino dei servizi sociali. Il tutto naturalmente in vista non solo di pregiudizi ideologici, ma di interessi privati e di politico-economici che pur riguardando in primo luogo settori precisi all'interno del sistema attuale in certa misura lo coinvolgono interamente.
Del resto, malgrado il perdurare di un vocabolario "verde", l'ecologismo viene oggi declinato essenzialmente solo sotto il profilo del contrasto al riscaldamento del pianeta, per altro addebitato a fattori, come la concentrazione di CO2 nell'atmosfera, per definizione non inquinanti, e semmai favorevoli all'espansione della biomassa vegetale sul pianeta. Al riguardo poi le uniche misure che siano prese in considerazione sono quelle che comportano una riduzione vera o presunta nel rilascio umano di gas serra nell'atmosfera, le loro conseguenze ambientali per altri versi - per esempio, la tossicità delle sostanze impiegate nelle tecnologie correlate o l'ovvio impatto ambientale e paesaggistico di centrali solari od eoliche su larga scala - venendo ridotte a preoccupazione secondaria. Laddove un approccio scientifico e politico in senso alto, anziché propagandistico e "religioso", al problema richiederebbe una distinta considerazione di numerose questioni, concettualmente del tutto distinte, e meno "universali" di quanto si possa ritenere - benché paesi concepibilmente favoriti dal fenomeno, come la Scandinavia o il Canada, appaiano paradossalmente in prima linea nel relativo movimento.
Di converso, se è vero quanto sostenevano nel 1989 fonti ufficiali ONU, ovvero che la finestra per incidere sul clima del pianeta attraverso la riduzione delle emissioni si sarebbe chiusa nel 2000, per vari fenomeni di feedback positivo generati dal surriscaldamento, come il mutamento nell'albedo del pianeta, la priorità suddetta comporterebbe a logica un massiccio riorientamento delle risorse innanzitutto verso progetti di geoengineering. In particolare, come ricorda anche Rubbia in un famoso video, molti esperti attribuiscono il "ritardato" riscaldamento del pianeta all'inizio del nuovo secolo… al pulviscolo liberato dall'industria cinese, ovvero ad un fattore altrettanto umano quanto il rilascio dei gas ad effetto serra, ma di effetto opposto. Ed esistono numerose ipotesi di lavoro relative a progetti su larga scala volti al deliberato raffreddamento del pianeta, che non sono mai passati dai paper scientifici al dibattito pubblico, ai media o alle politiche nazionali semplicemente perché qualsiasi intervento che aumenti, anziché diminuire, la nostra impronta ecologica viene giudicato ideologicamente inaccettabile a priori.
Secondariamente, e in alternativa, è possibile che molte delle enormi risorse investite nella conversione ad una economia suppostamente "green" genererebbero maggiori e più sicuri ritorni ove utilizzate per adattarsi al mutamento climatico, anziché unicamente per combatterlo, a partire ad esempio dalle politiche e tecnologie in materia di risorse utili trarre i possibili vantaggi o almeno limitare i danni insiti nel mutamento climatico, dalla modifica delle varietà vegetali utilizzati ad un loro possibile utilizzo a latitudini e altitudini più alte che il riscaldamento stesso sarebbe destinato a rendere possibile, o ad un miglior utilizzo di mari ed oceani che coprono comunque già i due terzi del pianeta, e il cui ambiente al momento resta addirittura largamente inesplorato. Obbiettivi che conserverebbero un ovvio significato anche nel caso di un riscaldamento globale non antropico, o comunque per qualsiasi ragione non utilmente controllabile da parte nostra.
Nondimeno, anche la tendenza in discussione presenta innegabilmente aspetti positivi da un punto di vista transumanista, rappresentando pur sempre una spinta verso l'esplorazione di tecnologie aggiuntive ed alternative, e verso una maggiore efficienza energetica di quelle che già utilizziamo, in un processo ben messo in luce da Ramez Naam in The Infinite Resource: The Power of Ideas on a Finite Planet, e che sottolinea come lo sviluppo sin qui conseguito non è dipeso dall'utilizzo di risorse improbabilmente "rinnovabili" o "sostenibili", ma dal ricorso a risorse sempre nuove.
Più in generale e soprattutto ci ricorda la necessità ormai ineluttabile di una crescente "presa in carico" da parte dell'uomo dell'ambiente in cui vive, attraverso decisioni che non possono essere lasciate a impersonali meccanismi economici e giuridici come sarebbe idealmente auspicabile nei sogni umanisti del sistema occidentale.
Ecco la Delta Plus secondo copione mainstream by Corriere Nazionale
di Roby Guerra. La fonte è fin troppo autorevole (Pregliasco) vedi https://www.money.it/variante-delta-plus-pregliasco-allarme-nuove-chiusure-lockdown-italia-contagi ... www.corrierenazionale.net |
mercoledì 20 ottobre 2021
Ferrara, Paolo Bertelli musicista e animatore culturale doc by Corriere Puglia e Lucania
Ferrara – Scompare Paolo Bertelli, musicista blues
Ferrara: è scomparso in questi giorni il grande musicista blues ma non solo, Paolo Bertelli, protagonista speciale nella città d'arte estense pluridecennale.
Speciale, per lo stile mai commerciale e consumistico, estraneo per natura al le sirene dei media, pure almeno a Ferrara (ma non solo) sia ben chiaro sempre apprezzato, sebbene in certo senso sottovalutato nella sua cifra particolare. Come artista, anche collaborazioni notevoli e in proprio musicista d'avanguardia con il progetto degli anni '80 circa su Prometeo, dalle parti della musica sperimentale (riedito poi nel 2015). Con la sua casa discografica Musicando con spazio quid destinato a giovani musicisti prodotti.
"Infine" con la fondazione del progetto Night Blues, molte edizioni a Ferrara, di cui era anche oltre che promotore, Direttore Artistico, presso uno dei chiostri storici della Città rinascimentale. Figura anche costante in centro città e sempre elegante e non ideologico ottimo interlocutore, raro per l'ex città rossa estense…
Splendida questa nota della Nuova Ferrara, in omaggio, in questi giorni al musicista e animatore culturale-------------------------------------
sabato 16 ottobre 2021
Green Pass? Solo l'Italia in Europa! by Corriere Nazionale
martedì 12 ottobre 2021
Fascisti assalgono la CGL, ma il vero pericolo è il PD by Corriere Nazionale
Rivedere le relazioni tra le multinazionali del farmaco gli stati la legge Roby Guerra | 11 Ottobre 2021 BY Pensa Libero
venerdì 8 ottobre 2021
Si Vax ma No multinazionali del farmaco? by Corriere Puglia Lucania
venerdì 1 ottobre 2021
Michele Nigro, poeta e critico contemporaneo - Intervista
Michele Nigro, da ormai molti anni, presenza costante d'avanguardia virtuosa in Italia, un background tra critico blogger e produzioni poetiche e letterarie, attento al futuro, uno zoom... biografico e d'autore?
Da molti anni è vero; ma non so quanto, in tutto questo tempo, abbia con le mie cose fatto avanguardia, onestamente credo pochissimo, anzi per niente. E poi nutro alcuni dubbi sulla funzione, in questi tempi, di un'eventuale avanguardia in generale: propendo più per il "rispolverare e ibridare". Ma sarà il confronto futuro, eseguito da altri, tra me e i miei coevi, a stabilire se c'è stato da parte mia uno scatto in avanti (o indietro) verso una direzione interessante e differente (stavo per scrivere, indegnamente, "direzione ostinata e contraria", De André docet!).
Sto cercando di portare avanti sul mio blog "Pomeriggi perduti" (che prende il nome dal titolo della mia ultima raccolta di poesie, Ed. Kolibris) un lavoro critico ̶ tramite note e recensioni a mia firma ̶ nei confronti di opere edite di altri Autori (soprattutto poesia) approdati sulla "rubrica" intitolata "Recensisco".
Per lo "zoom biografico e d'autore", per non annoiare i tuoi Lettori li rimanderei a un apposito link al mio blog; posso solo dire che parallelamente all'attività recensoria a cui accennavo (e alla promozione della raccolta "Pomeriggi perduti" uscita nel 2019), ho in preparazione da mesi un testo ibrido prosa-poesia derivante da un'opera di "diluizione" di scritti diaristici rispolverati e necessariamente rimaneggiati per renderli fruibili a un potenziale lettore che non sia io: si tratta di un progetto lento, come amo definirlo, che sta richiedendo un lavorio spalmato nel tempo e approcci pazienti e minuziosi, rigo dopo rigo, taccuino dopo taccuino. Il diarismo ha un suo fascino, ma quando devi proporlo all'esterno, può trasformarsi in un'arma a doppio taglio.
È una (ri)scrittura, a volte lacerante perché scava nel passato e in emozioni incrostate, che mi costringe a restare concentrato sull'obiettivo nonostante le numerose interruzioni insite a un progetto lento: il segreto sta nel comprendere la giusta chiave di lettura per effettuare la diluizione rispettando i "parametri di trasformazione" del testo scelti fin dall'inizio. È un lavoro in fieri molto avvincente, caratterizzato da varie fasi progettuali, e che non so dove mi porterà perché, temo, di difficile collocazione editoriale: una difficoltà che si avverte soprattutto quando sei un signor nessuno come nel mio caso. Però credo nel progetto e si vedrà…
Nello specifico, tempo fa hai rinnovato il sito blog e le tue ultime produzioni?
Sì, nel 2019, dopo anni di "onorata attività" ho mandato in pensione il blog "Nigricante" ̶ che è ovviamente ancora online ̶ per lanciare "Pomeriggi perduti" (sottotitolo: "quasi un litblog di Michele Nigro"): avevo bisogno di un "luogo" nuovo, di una grafica diversa, di una linea sobria e "professionale", ma soprattutto di un'impostazione contenutistica che marcasse la differenza con il blogging passato. L'occasione mi è stata fornita dalla pubblicazione dell'omonima raccolta "Pomeriggi perduti".
Lì sopra non parlo solo dei libri degli altri o di argomenti culturali di interesse generale (sarò sincero, non amo particolarmente i book blogs: non tutti, ma la maggior parte di essi sono delle asettiche "fabbriche di segnalazioni di libri" senza critica e profondità, create solo per veicolare pubblicità e fare book marketing a libri di dubbia qualità ̶ che al confronto quelli di Harmony sono "opere classiche" ̶ appartenenti a infimi sottogeneri letterari), ma anche delle mie attività scritturali e dei miei piccoli traguardi. Da qui l'essere quasi un litblog, al confine con il blogging personale.
Michele Nigro, sempre orientato, senza alcuna tecnofilia, verso l'avvenire, ma nell'attuale epoca "devastata" dal triste virus, il senso del futuro è perlomeno in crisi, soprattutto per le nuove generazioni, concordi oppure?
Non che prima della pandemia il futuro fosse roseo: era già sul grigiastro andante… Non userò quella parola odiosa e inflazionata dalla politica che inizia con "re…" e termina con "… ilienza", ma credo che da questa brutta esperienza si possa e si debba ricavare una nuova spinta per migliorarsi e ritornare a vivere più di prima, anche se alcune abitudini sarebbero da modificare irreversibilmente senza per questo blaterare di illiberalità o di dittatura sanitaria (riscoprire un certo localismo in ambito turistico, rivedere alcune scelte esistenzial-commerciali, non è sinonimo di mancanza di libertà ma è sintomo di una riscoperta intelligenza in vista di una gestione più consapevole della propria vita). Sto cercando ultimamente di evitare con tutte le mie forze il dibattito inconcludente e violento, sia nella vita reale che sui social, tra favorevoli e contrari al vaccino e al conseguente green pass: penso che tutto debba essere vissuto come una fase di passaggio e non perdere di vista i propri obiettivi che bypassano qualsiasi pandemia o stasi socio-economica.
Bisogna credere e vedere oltre, non per eccesso di ottimismo o per ingenuità. Quindi non credo in una crisi del senso del futuro, nonostante le evidenti difficoltà sociali ed economiche della società in cui viviamo, perché siamo noi stessi a dover fornire un senso al nostro vissuto e non l'indice di trasmissibilità di un virus comunicato quotidianamente dal MinSanPop.
Credo nelle occasioni, anche quelle "scomode" fornite da questo periodo, e in ciò che con queste sappiamo costruire. Penso che un minimo di tecnofilia sia indispensabile perché sul buon uso di un certo progresso tecnologico e scientifico saranno basati i vincenti passi successivi dell'evoluzione del genere umano. Però mi chiedo anche ̶ senza il timore di essere tacciato di luddismo ̶ quanto scienza e tecnica abbiano influito ̶ con il progresso che ne è conseguito ̶ sul predisporre il pianeta alla pandemia e soprattutto nel non prevenirla, omettendo di suggerire (per assecondare il dio denaro) tempestive modifiche degli stili di vita e di produzione. È chiaro che la tecnofilia ̶ soprattutto quella che favorisce pochi gruppi economico-finanziari ̶ non basta: occorre riscoprire una dimensione umana, a tratti coraggiosamente 'atecnologica' e anticonsumistica, più naturale, "rimpicciolita" e connessa al contempo, oserei dire glocal.
Più in generale, come vedi oggi la poetica/cultura contemporanea?
È meno audace, più uniformata a standard che, forse per ragioni generazionali, non comprendo e con cui non sono assolutamente in sintonia: dalla musica all'editoria, tranne rari casi, vige la regola per cui se esci da una scuola omologante o sei un autore affermato che ha già portato introiti, anche se in seguito scrivi boiate continui a usufruire di un certo "pompaggio" del marketing. In sintesi, viene portato avanti il personaggio che vende e non l'opera o, appunto, la poetica di un autore. Quindi, anche se lo scenario non è del tutto disastrato e irrecuperabile come potrebbe sembrare da questa mia risposta, in un sistema del genere di quale poetica si può mai parlare?
La cultura è una "cultura di piazzamento" e bisognerebbe parlare di "ranking poetico". La colpa non è solo delle case editrici o ̶ per dirla alla Battiato ̶ degli "addetti alla cultura", ma soprattutto di un abbattimento della qualità della domanda da parte di un pubblico impreparato e che ama volare in superficie, a pelo d'acqua, per mancanza di tempo e di un autentico interesse: a una poetica di ricerca, non subitanea e quindi poco accattivante, si preferisce il guitto che fa cantare il suo pubblico durante i reading, che va in tv tre volte a settimana, che riempie le sale credendo così di diffondere la poesia, che litiga sui social, che innesca polemiche politiche e alza polveroni mediatici per vendere meglio e di più… Parlerei di una "poetica mediatica" che è l'unica, oggi, a contare.
La cultura è la risposta che la parte pensante di una società dà ai problemi del tempo attraverso le sue opere: se la risposta è quella attualmente in circolazione nel mainstream, è evidente che sono mutate le esigenze culturali e, arrivo a dire, spirituali del pubblico che alla fine acquista una tipologia di prodotti. Non c'è soluzione, deve andare così. È la caratteristica dell'epoca. L'importante è essere coerenti con sé stessi e con la propria poetica.
Domanda libera...
Rispondendo a questo invito marzulliano in stile "si faccia una domanda e si dia una risposta", e ricollegandomi alla precedente risposta, chiederei a me stesso: "riuscirai a non svenderti in futuro?".
Oggi rispondo che c'è molta più dignità nel tenere chiuso nel cassetto un manoscritto non appetibile dal punto di vista editoriale che piegarsi a un editing edulcorante o sfornare opere "piacionesche" per non darla vinta alla critica di invenduti "poeti complicati".
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domenica 26 settembre 2021
Ferrara, Vittorio Sgarbi, "mecenate" della cultura by Corriere Nazionale
di Roby Guerra. Tra i plusvalori della nuova giunta al governo a Ferrara, dal 2019 dopo 70 anni di comunismo, agli occhi di tutti, non prevenuti ideologicamente, dovrebbe brilllare come cristallo (o una bomba d'arte in chiave provocatoria), quel che sta facendo il celebre critico Vittorio Sgarbi, incaricato in ambito culturale di ruoli fondamentali. www.corrierenazionale.net |