Su sollecitazioni del mio amico Roby, che cosa intendo con l’espressione Transumanesimo della vita quotidiana?
Nel 2003, il fisico e Autore Jim Al-Khalil pubblica per la prima volta da Weidenfeld & Nicolson Ltd., London, un saggio dal titolo Quantum. A Guide for the Perplexed. Il saggio viene tradotto in italiano ed esce da Bollati Boringhieri nel 2014 con il titolo La fisica dei perplessi.
Nel saggio è descritto l’approdo della ricerca attraverso la fisica classica alla fisica quantistica e conseguentemente lo stato dell’analisi e della ricerca, evidenziato in copertina, nell’“incredibile mondo dei quanti” che potrebbe darci “una spiegazione, finalmente comprensibile, di com’è fatto il mondo”. Così che il testo del saggio conclude: In ogni caso una cosa è certa: non abbiamo ancora visto il meglio che la teoria quantistica ha da offrire. Il futuro ci sorride. I quanti sono il futuro.
E allora: 1) non c’è alcun dubbio che si tratti quindi di una vera e propria scoperta e quindi di una vera e propria rivoluzione nel nostro modo di “pensare l’essere”, nel senso inteso da Parmenide per cui “la stessa cosa è pensare e essere” e l’essere – è bene sempre precisarlo a noi-umani – “è e non è possibile che non sia, il non essere non è e non è possibile che sia”; 2) dal discorso ontologico di Parmenide al discorso della “fisica” con Aristotele, in cosa è possibile prevedere sviluppi? Ovverosia, nel senso, chiariamo, che sia possibile approdare a un risultato diverso che non sia la semplice enunciazione parmenidea che l’essere: “è”; ma sia invece possibile aggiungere, almeno per noi-umani e quindi in relazione al nostro essere nel mondo, un discorso in qualche modo pieno di altro significato, diciamo così che non escluda l’inadeguatezza dell’essere-umano a percepire il significato dell’essere, e quindi non muti il risultato dell’analisi ontologica, a cui perviene non solo Parmenide ma l’intero complesso dei “più antichi progenitori” di cui dice anche Aristotele, ma in qualche modo cambi il nostro stato di “dimora” heideggeriana nel mondo dell’essere; 3) Hannah Arendt, nel suo saggio Vita activa, conclude dicendo che “l’azione degli scienziati, poiché agisce nella natura dalla prospettiva dell’universo e non nel tessuto delle relazioni umane, manca del carattere di rivelazione dell’azione come della capacità di produrre vicende e storie, che insieme formano la fonte da cui scaturisce il significato che illumina l’esistenza umana”. Semplicemente, si sbagliava. Ma, per affermare ciò, occorre in qualche modo provarne almeno la possibilità, e quindi convincere di ciò i perplessi, come lei fondamentalmente diceva di essere.
Quindi, fatto salvo il pensiero di Parmenide, cosa e come potrebbe cambiare in qualche modo il significato che illumini la nostra-umana o post-umana esistenza?
Non essendo un fisico, avverto il lettore che proseguirò qui riportando ampi stralci delle conclusioni (per non concludere) del saggio citato di Al-Khalili. A cominciare dall’insegnamento di Plank di cent’anni fa:
Egli iniziò la rivoluzione quantistica ipotizzando che l’energia non fosse infinitamente divisibile, ma fosse invece composta di blocchi irriducibili, quanti di energia, così come la materia è costituita di blocchi fondamentali indivisibili.
Ma, pur dubitando che esista un’unità percettivamente indivisibile di materia ed energia, così che si ritorni alla critica alla particella elementare di Democrito, resta in ipotesi la possibilità che si pervenga in qualche modo, mediante la fisica dei quanti, all’identificazione di “un’unità di spazio e di tempo”, espressione che finisce con l’accomunarci, da misurare in base alla scala di Plank ed è questa scala – scrive l’autore – che si può pensare come una scala di distanze.
E dunque scopo della ricerca della Fisica permane quello (almeno da Democrito in poi e senz’altro a torto di Aristotele e dei filosofi che hanno abbandonato la via tracciata da Parmenide) e questo di definire l’unità di spazio e di tempo, sia che lo spazio e il tempo siano, l’una o l’altra o entrambe, grandezze fisiche realmente esistenti sia che siano grandezze opinabili secondo il modello o schema propri della mente-umana.
E allora le domande sono: 1) sarà possibile costruire un modello o schema di pensiero diverso? La risposta immediata è che non può essere escluso; 2) sarà possibile annullare la misura della distanza dello spazio e del tempo, così che in realtà non esista un’unità distinguibile di spazio e di tempo ma solo l’ipotesi del “continuum” così come formulata, tra tanti altri, anche dallo stesso Parmenide? 3) ma, anche posto che non lo sia, e quindi continuando a pensare in base a un modello o schema divisorio, quale quello delle relazioni fisiche tra “enti” (ciò che è, al plurale sono), la scoperta e l’identificazione di tali unità a cosa potrebbe condurci?
Ma, prima di affrontare quest’interrogativo, è forse bene precisare che, come riportato dall’Autore, uno dei dogmi principali delle teorie di Einstein (è che): lo spazio e il tempo si possono definire solo nei termini delle relazioni tra i diversi eventi (il linguaggio qui ripete ancora una volta la terminologia in uso ai più antichi progenitori di Aristotele, e in particolare di evento o ente che accade da “ciò che” di cui dice Anassimandro, all’inizio della scienza filosofica dei Greci, è l’origine e la trasformazione di tutte le cose). E dunque, posto che sia così, passiamo ora all’ipotesi di una nuova esperienza fisica basata su un nuovo modello o schema scientifico.
Nell’attualità, l’ipotesi senz’altro più ricercata è forse quella della costruzione di un cervello quantistico. I transumanisti, nuovi filosofi dello spazio e del tempo presenti, parlano apertamente di uploading della mente, cioè banalmente della possibilità di trasferire o copiare una mente cosciente da un cervello a un substrato non biologico. Ipotesi, dunque, che non escluderebbe la dimensione di un corpo fisico nello spazio, nel qual caso si tratterebbe per l’appunto di un substrato non biologico. Quanto alla dimensione del tempo, invece, il discorso potrebbe restare qui e per ora in sospeso, ma non nel prosieguo del testo, e si spiegherebbe già a mio modo d’intendere il discorso dell’essere con il fatto che già Esiodo riportava in sintesi il pensiero dei più antichi progenitori in base al quale in principio fu il caos o spazio abissale o nel linguaggio della fisica moderna ciò che chiamiamo ancora oggi Big bang. Crono, riflettevano gli antichissimi, nasce infatti dopo.
E allora, in merito alla riflessione circa il processo di origine della coscienza, ecco in particolare cosa scrive ancora l’Autore:
Secondo Penrose, la sovrapposizione di diversi stati quantistici non collassa a causa dell’atto della misurazione, della presenza di un osservatore cosciente e nemmeno dell’interazione con l’ambiente. Invece, sostiene, il processo avviene anche per un sistema isolato, per mezzo di un processo fisico collegato alla natura dello spaziotempo. Secondo Penrose, la “riduzione oggettiva”, o collasso, della funzione d’onda avviene a causa delle diverse geometrie dello spaziotempo di ogni stato nella sovrapposizione. (Quindi, se una particella è in sovrapposizione in due posizioni diverse, la curvatura dello spaziotempo sarà differente, a seconda di dove è più probabile che si trovi la massa della particella). Una volta che la differenza nelle geometrie arriva a un certo livello critico, come quando la particella risulta in correlazione con l’ambiente, la sovrapposizione diventa instabile e collassa in uno solo degli stati possibili. Naturalmente né Penrose né nessun altro conosce i dettagli di questo meccanismo, perché non abbiamo una teoria quantistica della gravità.
Questa interpretazione è stata applicata da Penrose e Stuart Hameroff per spiegare come si possa “accendere” la coscienza nel cervello. Dovrei prima spiegare che i due ricercatori fanno appello alla meccanica quantistica perché pensano che il modo in cui “pensiamo” sia fondamentalmente diverso dal modo in cui un calcolatore elabora gli algoritmi. Questa “non calcolabilità” del pensiero cosciente, sostengono Penrose e Hameroff, deve affidarsi a qualcosa di diverso della fisica classica, cioè la fisica quantistica. E credono di aver trovato proprio il mezzo biologico che protegge all’interno del cervello la delicata coerenza quantistica dall’ambiente esterno.
Breve inciso di carattere personale: il termine “coerenza” mi riconduce sostanzialmente a una delle fondamentali conclusioni matematiche a cui è pervenuto il matematico austriaco Kurt Godel con i suoi Teoremi dell’indecidibilità.
Ma, proseguiamo con il testo dell’Autore:
I neuroni contengono polimeri cilindrici cavi chiamati “microtubuli”. Questi sono a loro volta costituiti di una singola proteina chiamata “tubulina”, che può essere in sovrapposizione di due forme leggermente diverse. Penrose e Hameroff sostengono che i microtubuli hanno esattamente le proprietà giuste affinchè questa sovrapposizione si mantenga e si espanda alle tubuline circostanti. Così si mantiene una sovrapposizione coerente per un periodo di tempo significativo, il che permette ai processi precoscienti di emergere. Il collasso della sovrapposizione avviene quando si raggiunge la soglia critica di Penrose, e la coscienza si accende. Naturalmente questo processo avverrebbe in continuazione nel cervello. Forse non c’è bisogno di costruire un computer quantistico, dopo tutto: ne portiamo uno a spasso nel cranio tutti i giorni!
Il problema principale per i ricercatori e per tutti i tipi possibili di computer quantistico sarebbe dunque quello d’isolare le sovrapposizioni dall’ambiente circostante.
Ma, prima di concludere (per non concludere) queste brevi annotazioni, direbbe Heidegger che occorra piuttosto un’altra “delucidazione” dell’Autore, a mio parere, che introduce all’idea del meccanismo che sarebbe capace di far funzionare il teletrasporto quantistico e l’effetto sarebbe ciò che noi oggi chiamiamo entanglement quantistico.
A parte i principi, non mi addentrerò oltre nei meccanismi della fisica quantistica, che sostanzialmente, da filosofo, ignoro. Ma, è davvero utile, ribadisco, leggere cosa dice in fine il fisico e divulgatore Jim Al-Khalili:
E’ importante sottolineare che il teletrasporto quantistico non implica una sorta di trasporto istantaneo non locale, perché parte dell’informazione necessaria a ricostruire il sistema quantistico a destinazione dev’essere trasportata con mezzi classici (cioè non più velocemente della luce). Ma l’eleganza di questo metodo (su cui qui io sorvolo) sta nel fatto che il resto dell’informazione, perduta durante la scansione/misurazione (irrimediabilmente, si pensava, a causa del principio di indeterminazione), si può in realtà ricostruire a destinazione, grazie a correlazioni quantistiche non locali di altre particelle(…) Quindi trasferire tutta l’informazione contenuta in una particella quantistica è equivalente a trasferire la particella stessa(…) L’informazione è tutto.
Annulleremmo così le distanze del tempo. Quanto allo spazio, forse, ne dovremmo riparlare. Roby, come ti ho scritto: il futuro è aperto. Anzi, apertissimo.
Ciao, a presto.
Angelo Giubileo