sabato 17 agosto 2024

Transumanisti, David Orban

 

Il futuro è ovunque e in molti posti, come a Shangai e a Dubai, è già arrivato. Insieme a David Orban, imprenditore e divulgatore, abbiamo esplorato il concetto di futurologia

Ha un chip impiantato sottopelle dal 2016. È stato uno dei primi a adottare le tecnologie blockchain ed è un investitore attivo in Bitcoin dal 2010. È docente della Singularity University nel cuore della Silicon Valley in California, la start up finanziata nel 2008 da Google che elabora il concetto di futurologia e singolarità tecnologica. Lui è David Orban, keynote speaker molto richiesto che ha tenuto oltre cento conferenze in tutto il mondo.

Secondo William Gibson, “Il futuro è già arrivato. Solamente non è ancora stato uniformemente distribuito”. Quando arriverà il futuro secondo David Orban?

«Tokyo poteva essere il futuro negli anni ‘80, Seul negli anni 2000. Oggi se vogliamo toccare con mano il futuro possiamo andare a Shanghai o a Dubai e vedere non solo un’architettura, ma anche l’effervescenza delle persone che credono nella propria capacità di migliorare il mondo attraverso l’innovazione principalmente tecnologica. Quindi può essere ovunque e in molti posti effettivamente è già arrivato».

Secondo lei gli uomini hanno fiducia nell’innovazione o ne sono spaventati?  

«Ogni persona dimostra individualmente, per esempio, di avere fiducia nel futuro, nel momento in cui attraverso i figli fa un investimento su questo futuro e ha potuto vedere negli ultimi cento anni come la qualità della vita delle persone, soprattutto in posti come l’Europa, sia migliorata. Semplicemente oggi le donne non devono più partorire 6 figli affinché 2 ne sopravvivano per poter portare avanti la specie.

Poi sicuramente c’è una grande pressione nell’accelerazione del cambiamento, che spinge le persone fino ai limiti della loro capacità di adattamento e, quindi, la società o le comunità devono tenerne conto, rallentando il tasso di cambiamento o dando modo alle persone che non vogliono o non riescono a stare al passo di mantenere una dignità nella loro vita».

Come la tecnologia influenza e cambia le nostre vite?

«Si possono osservare effetti che possono essere visti come simpatici o spaventosi, anche nella nostra vita quotidiana. Ho chiesto a mia madre come ci si poteva incontrare se qualcuno mancava l’appuntamento di 15 minuti o mezz’ora e non c’era il cellulare per avvertire del ritardo. Lei mi ha tranquillamente confermato che si andava a casa e si aspettava di riprendere l’appuntamento. Oggi approfittiamo, quindi, molto volentieri di questi benefici, anche le persone più restie all’uso della tecnologia.

Ci sono anche altre trasformazioni. Ho notato con grande gioia, per esempio, che nei messaggi di testo su WhatsApp ho smesso di utilizzare il punto alla fine delle frasi, anzi, quando qualcuno mi scrive usando il punto comincio a sentire come se il messaggio fosse troppo aggressivo, troppo forzato e questo è un segnale molto sottile di una trasformazione grammaticale, ma anche semantica e quindi filosofica di come percepiamo e utilizziamo il linguaggio».

Integrare la tecnologia nel corpo umano è l’ultima frontiera. Come si vive con un microchip sottopelle?

«Un milione di anni fa abbiamo iniziato a padroneggiare il fuoco, che ha creato una simbiosi tra tecnologia ed essere umano. Utilizziamo il fuoco per predigerire il cibo in modo da dedicare meno tempo ad alimentarci, contrariamente per esempio ai gorilla che passano 10-15 ore al giorno a mangiare. Così possiamo utilizzare il tempo risparmiato per fare pettegolezzi o guerre o creare razzi che vanno sulla Luna.

Da allora abbiamo continuato a utilizzare la tecnologia in modo non uniforme. Chi di noi porta gli occhiali, se ne avesse avuto necessità mille anni fa, sarebbe stato probabilmente bruciato sul rogo come mago o strega. Oggi dobbiamo renderci conto che ci sono nuove frontiere nell’utilizzo della tecnologia e persone come me che le sperimentano possono provocare, informare, ma in ogni caso aprono uno sguardo verso un futuro che altri potranno abbracciare quando saranno pronti»


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